Due anni fa in un eccesso di presunzione, “il Mozart del trampolino” cercò di saltare un passo, ma in volo perse l’orientamento e atterrò scoordinato nella rete. La testa batté contro il ginocchio teso proprio mentre l’assenza di gravità si trasformava in un carico multiplo del proprio peso corporeo. Una frazione di secondo che per un soffio è quasi costata la vista a Robin. L’infortunio ha causato una frattura del piano orbitale sotto l’occhio destro: un’operazione d’urgenza ha evitato danni permanenti. Un passo alla volta; l’ho provato sulla mia pelle.»
Freestyle con nuove sfide
Robin Steiner è un pioniere nel freestyle del salto al trampolino. Il trampolino acrobatico esiste già dagli anni '60 come disciplina agonistica, tuttavia la gente comune è stata privata da questo sport, in quanto solo poche società di ginnastica potevano permettersi l’acquisto di un trampolino. Il livello di difficoltà più alto mai mostrato in una gara è quello di un salto quadruplo in avanti con mezza torsione effettuata secondo criteri ben definiti: un cosiddetto «Quadriffis.»
Gli spettacolari salti freestyle che Robin e i suoi amici mostrano sui social media sono tutt’altra cosa. «Il nostro obiettivo non è tanto l’esecuzione tecnicamente corretta, quanto la creatività e lo stile», afferma Robin. L’atterraggio sulla pancia è espressamente consentito.
Il lavoro di preparazione rimane nascosto
Questo nuovo sport è paragonabile a quello dello snowboard, arrivato in Europa dal Nord America a metà degli anni '80 dando così vita a un movimento freestyle. Le condizioni erano completamente diverse, come ricorda il campione olimpico di snowboard Gian Simmen, appartenente all’ultima generazione cresciuta senza internet. «Quando sono salito per la prima volta su uno snowboard nel 1989, non mi sono orientato verso l’élite mondiale irraggiungibile, ma verso i ragazzi più fighi del villaggio che mi hanno mostrato come si faceva», dice il quarantacinquenne grigionese. Ciò ha portato automaticamente ad un approccio sano: un passo alla volta.
Piattaforme come YouTube, Facebook e Instagram hanno cambiato completamente il modo di procedere, Simmen ne è convinto. «Oggi, se vuoi provare qualcosa di nuovo, hai a disposizione sul tuo smartphone dei video con i trucchi migliori: la voglia di imitazione è grande.» Rimane però nascosto che dietro una breve clip spesso ci siano anni di allenamento e un team di professionisti. «Questo modo di approcciarsi può portare a un numero sempre maggiore di persone inconsapevoli o alle prime armi che gironzolano negli impianti e si cimentano in attività per le quali le loro capacità sono insufficienti», osserva Hansjürg Thüler, responsabile Sport e attività fisica dell’UPI.
Più rischio per più like
L’acclamazione sotto forma di like sui social media crea un ulteriore stimolo ad andare un passo più in là di tutti gli altri. Questo effetto è evidenziato nel settore del tempo libero nello studio «Selfies y fotos extremas. Peligros y accidentes» dell’ONG spagnola Fundación iO il quale mostra che tra il 2008 e il 2021 in tutto il mondo 379 persone hanno perso la vita per essersi esposte al pericolo per una foto particolarmente spettacolare. Una vita per un paio di like.
Nello sport, tuttavia, i like sono raramente l’unico motore di prestazioni eccezionali, afferma Thüler. «L’acclamazione è importante, non c’è dubbio, ma vi sono anche altri aspetti rilevanti: l’esperienza personale dei limiti, il piacere della sfida e della propria performance, la curiosità, la voglia di competere e imporsi così come la pressione del gruppo» o la pressione che ti metti addosso, come Robin Steiner prima dell’infortunio. «Improvvisamente ero uno dei migliori e ho sentito il bisogno di continuare a dimostrarlo. Credo di essermi spinto da solo verso l’infortunio.»
In effetti, il rischio in uno sport dipende sempre da come lo si pratica, ne è convinto Thüler. La tendenza dei giovani a valutare in modo troppo ottimistico la propria invulnerabilità è ampiamente dimostrata dalla ricerca comportamentale. I social media danno a questo fenomeno una piattaforma senza precedenti. Tuttavia, Thüler dubita che la propensione al rischio sia aumentata tra la popolazione in generale. «Al contrario, la società nel suo insieme sta sviluppando un crescente bisogno di sicurezza.»
Nuove regole per il freestyle
Quando si passa dal fenomeno marginale a quello di massa, ne consegue la necessità di definire nuove regole, fissare dei limiti e degli standard per garantire la pratica più sicura possibile dello sport. 30 anni fa, era il caso dello snowboard. «Oggi è ovvio per i miei figli: quando salgo sullo snowboard, indosso il casco e il paraschiena», afferma Gian Simmen. «Ma alle Olimpiadi invernali di Nagano del 1998 gli snowboarder non avevano nemmeno l’obbligo del casco.»
Questo è il punto in cui si trova lo sport del trampolino freestyle. Solo quattro anni fa circa, l’UPI ha costituito un gruppo di lavoro che per la prima volta ha discusso con i gestori dei trampoline park gli aspetti relativi alla sicurezza e incluso le raccomandazioni in una documentazione tecnica nel 2020. «Sono contento di aver colto l’onda», dice Thüler. «Ma c’è ancora molto da fare.»
L’obiettivo dell’UPI: trampoline park sicuri
Ogni anno in Svizzera muoiono 140 persone a causa di un infortunio sportivo e 14 800 rimangono gravemente ferite. L’UPI si adopera costantemente per ridurre tali cifre. Un passo successivo è chiaro per Hansjürg Thüler. «L’UPI intende avviare il dibattito per subordinare l’autorizzazione per le parti più impegnative degli impianti al livello di prestazione di ciascun visitatore nei trampoline park o negli snowpark.» Come l’abilitazione al campo nel golf. Un’ammissione graduale potrebbe ad esempio essere abbinata ad un corso. «In questo modo si potrebbe attenuare l’effetto emulazione incontrollato che spinge eccessivamente una parte degli atleti attraverso i social media», afferma Thüler. Questo passo è uno dei temi principali del Forum sport dell’UPI che si terrà a Berna il 21 giugno.